Due anni fa, il 13 agosto 2013. Sul lungomare centrale di Roseto degli abruzzi fu presentato il progetto “Bike to cost”, la più lunga pista ciclopedonale d’Europa, 131 chilometri da Martinsicuro a San Salvo, oltre ai collegamenti tra i fiumi Tordino e Vomano. L’incontro fu organizzato dall’attuale amministrazione comunale, con la presenza dell’ex Presidente della Regione Gianni Chiodi e l’ex Assessore Mauro Di Dalmazio. Un’opera importante e costosa, che poteva essere ammortizzata grazie ai fondi Fas. La condizione? Iniziare i lavori entro due anni da quella data. L’estate è arrivata e, nel teramano, i lavori per la pista ciclabile sono visibili solo a Giulianova. A Tortoreto e Alba Adriatica la pista ciclabile è già presente, e Giulianova, con questi lavori, completerà l’intero lungomare. Villa Rosa e Martinsicuro sono indietro, a Pineto e Silvi c’è molto da fare. E Roseto degli abruzzi? In teoria i lavori potrebbero iniziare entro il 30 settembre per non perdere i fondi Fas, quindi si è ancora in tempo.
I problemi, però, sono tanti. La domanda da porsi è: vogliamo davvero questa pista ciclabile? Porterebbe solo vantaggi: è un volano per il turismo, e i primi a giovarne sarebbero proprio i balneatori. A Roseto nord, però, ci sono tanti proprietari terrieri che difficilmente concederanno il loro spazio. E i proprietari dei lidi sul lungomare Trento non vogliono arretrare (avranno anche le loro ragioni). Si è parlato di gincane nei punti dove gli stabilimenti sono a ridosso del passeggio, penalizzando i parcheggi. A sud, sul lungomare Trieste, il passeggio è un po’ più largo, ma non basta. E sul fiume Vomano si dovrebbe realizzare un ponte di legno.
Insomma, c’è molto da fare. In Italia, salvo rare eccezioni, manca la cultura della bici. Si preferisce l’auto o la moto. Il rumore rispetto al silenzio. Didier Tronchet, parigino d’adozione, giornalista, regista, disegnatore e sceneggiatore di fumetti, per le strade di Parigi si sposta solo in bicicletta. Nel suo libro “Piccolo trattato di ciclosofia”, dice così: “Alla fine, quello che ci viene rimproverato (a noi ciclisti), al termine di un processo perverso di rovesciamento di valori, è la nostra silenziosità. In questo mondo cittadino che pullula di aggressioni sonore, il nostro movimento silenzioso fa di noi un pericolo pubblico! Il nostro amico pedone, non allarmato dal rombo di un motore, ha ritenuto inutile gettare un colpo d’occhio bilaterale preventivo. Ha imboccato tranquillamente la carreggiata, certo che se non c’è rumore non c’è nessuno. È proprio in questo che consiste la perversione. Nello spazio urbano, il criterio di esistenza è ormai proporzionale all’inquinamento acustico. Faccio rumore quindi sono. E questo ci rimanda al modo di funzionamento delle nostre società mediatiche, in cui occorre sbraitare per esistere”.
Luca Venanzi